Bracconaggio, distruzione delle foreste, commercio illegale di pelli e altre parti del corpo dell’animale, sono ancora oggi le principali minacce per il futuro del felino
All’inizio del secolo scorso erano circa 100mila le tigri ancora libere in natura. Oggi ne restano solo 3.890 individui, distribuiti in maniera disomogenea in 13 differenti Paesi (India, Nepal, Bhutan, Bangladesh, Russia, China, Myanmar, Thailandia, Malesia, Indonesia, Cambogia, Laos e Vietnam), con un calo della popolazione stimato di circa il 97% rispetto a un secolo fa.
In India c’è la popolazione più numerosa, con 2.226 tigri censite, mentre negli altri Paesi la situazione è più grave. Tra Russia e Cina e si contano circa 450 tigri dell’Amur, una sottospecie unica ormai a forte rischio di estinzione, mentre in Indonesia sopravvivono solo circa 400 tigri di Sumatra, mentre in alcune aree si contano poche decine di individui. Secondo recenti studi è il Sud-est asiatico l’area in cui le tigri stanno soffrendo di più a causa del bracconaggio: la più grave causa del declino di questo splendido felino.
Il bracconaggio contro la tigre si fonda ancora oggi su credenze popolari alimentando un mercato illegale, legato anche alla medicina tradizionale cinese, che utilizza alcune parti del corpo del felino (come organi interni, ossa o denti) per la produzione di medicinali. Il commercio però riguarda tutta l’Asia: la medicina tradizionale cinese è usata anche in Laos, in Vietnam, in Cambogia. Solo in pochi Paesi esistono dei reali sforzi per frenare il bracconaggio, come ad esempio in Nepal e in India, dove stiamo assistendo negli ultimi anni ad un leggero aumento del numero di tigri.
In Nepal, dal 2013 a oggi, le tigri sono aumentate da 198 a 235, con un incremento della popolazione del 19%. Grazie a questi sforzi il numero globale di tigri è passato dai 3.200 individui stimati nel 2010 ai 3.890 odierni.
Oltre che per l’utilizzo di sue parti nel mercato illegale, la tigre è vittima anche di un bracconaggio legato al conflitto tra il predatore e alcune attività umane, come l’allevamento e, in alcuni contesti, agli attacchi verso l’uomo stesso.
Nel recente rapporto del WWF, The Way of the Tiger si evidenzia come proprio il bracconaggio sia, non solo la principale causa di morte delle tigri dell’Amur, ma anche una delle principali cause di conflitti con le attività umane. I ricercatori hanno infatti riscontrato che il 57% degli attacchi di tigre sugli uomini è opera di tigri ferite da colpi di arma da fuoco o trappole, mentre un restante 22% è opera di tigri malate o debilitate, anche per la scarsità di prede.
Uno studio nel Sud-Est asiatico ha messo in relazione la diffusione dei bracconieri sul territorio, con il modello di occupazione dello spazio da parte delle 6 specie di Ungulati che compongono gran parte della dieta della tigre in quelle regioni. Questa ricerca ha concluso che l’incremento della presenza di bracconieri incide in maniera significativa sia sul numero che sulla distribuzione delle prede della tigre, che in molte aree è spesso costretta a rivolgere le proprie attenzioni verso il bestiame domestico. Lo studio dimostra dunque che il bracconaggio non solo uccide direttamente le tigri, ma aumenta indirettamente anche il conflitto uomo-tigre, avviando una terribile catena che si auto-alimenta.
Negli ultimi anni, per combattere la piaga del bracconaggio in queste aree, sono nate iniziative lodevoli, come Smart (Spatial Monitoring and Reporting Tool): una combinazione di software, strumenti per la formazione e protocolli per il pattugliamento del territorio, sviluppati da alcune organizzazioni impegnate nella conservazione, e finalizzati a supportare biologi e guardie nel monitoraggio degli animali, nell’identificazione delle minacce e nell’aumento dell’efficienza dei controlli anti-bracconaggio. Un’altra iniziativa che sta ottenendo ottimi risultati è la creazione dell’Asia Poaching Prevention Working Group (Appwg), una piattaforma composta da membri del WWF in Asia, che lavora nei programmi di lotta al bracconaggio e nella gestione di aree protette.
Ma la battaglia contro questi crimini e per la salvezza della tigre è ancora lunga: il rapporto “Bracconaggio Connection”, sempre del WWF, sottolinea come il commercio illegale di specie selvatiche produca un giro di affari che può arrivare a circa 23 miliardi di dollari l’anno, e ricorda che dal 2014 al 2016 i crimini di natura hanno avuto una crescita del 26%. Questo traffico illegale è il quarto al livello globale dopo quello di droga, traffico di esseri umani e merci contraffatte. Una tigre sul mercato illegale può valere fino a 150mila dollari.